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Trattamento di fine rapporto, le linee guida

Immagine del redattore: Alessandro FacchiniAlessandro Facchini

Sappiamo tutti cos’è il TFR: una retribuzione differita che l’azienda deve pagare al dipendente in aggiunta allo stipendio mensile, generalmente al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Eppure non tutti gli aspetti legati al trattamento di fine rapporto sono altrettanto noti e assodati. Cerchiamo di fare chiarezza.







A chi spetta il TFR?

Ne hanno diritto tutti i lavoratori subordinati, anche precari e a tempo determinato, mentre non riguarda i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e, ovviamente, i rapporti di lavoro autonomo. Deve essere pagato in qualunque caso di risoluzione del rapporto, anche se il lavoratore viene licenziato per giusta causa.

Come si calcola il TFR dei dipendenti privati?

È necessario distinguere tra i dipendenti assunti prima e dopo il 1° gennaio 1990.

Per i lavoratori assunti dopo tale data, l’ammontare del TFR spettante è uguale alla somma, per ciascun anno di impiego, della retribuzione utile divisa per 13,5.

Per retribuzione utile si intende l’insieme di tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura.

Vi sono Contratti collettivi nazionali di lavoro che specificano chiaramente quali elementi retributivi devono essere computati ai fini della corretta determinazione del TFR e quali invece esclusi.

L’ammontare complessivo del TFR, tuttavia, non corrisponde alla somma dei singoli TFR. Ogni anno, infatti, il trattamento di fine rapporto viene rivalutato, in positivo, della somma dell’1,5% a cui va sommato il 75% dell’indice dell’inflazione rilevato dall’ISTAT al netto dell’imposta sulla rivalutazione del 17%.

L’art. 2120 del Codice civile stabilisce che la retribuzione annua “comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.

Quindi devono essere incluse nel calcolo voci come: lavoro straordinario non occasionale, premi di rendimento individuali, premi di anzianità o di fedeltà, ferie e festività non godute, trasferte, lavoro notturno, festivo e domenicale non occasionale. Sono invece esclusi i rimborsi spese e ogni altro genere di compenso occasionale.

Lasciare il TFR in azienda o versarlo in un Fondo pensione?

Il dipendente può scegliere la destinazione del proprio TFR. Al momento dell’assunzione, il datore di lavoro deve consegnare al lavoratore il cosiddetto modello TFR2, nel quale quest’ultimo deve dichiarare la propria volontà tra due opzioni: lasciarlo in azienda o destinarlo a fondo di previdenza complementare. Il TFR2 deve essere riconsegnato dal lavoratore al datore di lavoro entro 6 mesi dall’assunzione. A seconda della destinazione, ci saranno conseguenze diverse sulla rivalutazione del TFR accantonato e sulla sua tassazione. Va detto che, nel caso di mantenimento del TFR in azienda, il TFR accantonato viene gestito con modalità diverse a seconda della dimensione dell’azienda: se l’azienda conta fino a 49 dipendenti, la gestione del TFR è devoluta allo stesso datore di lavoro; se l’azienda conta un numero di lavoratori uguale o superiore a 50, il TFR di ogni lavoratore verrà versato il TFR al Fondo tesoreria costituito presso l’INPS.


Come si pagano le tasse sul TFR?

È necessario fare una distinzione tra il TFR rimasto in azienda e quello destinato al fondo pensione.

A quello rimasto in azienda si applica l’aliquota media degli ultimi 5 anni sui redditi di lavoro. In seguito l’Agenzia delle Entrate riliquida l’imposta in base alla media di tutti i redditi.

Per quanto riguarda quello destinato ai fondi pensione, invece, c’è un’aliquota massima del 15% che può scendere al 9% in caso di partecipazione alle forme pensionistiche per almeno 35 anni.

In quali casi si può chiedere l’anticipazione del TFR?

L’art. 2120 c.c. prevede che il lavoratore possa chiedere un anticipo del trattamento di fine rapporto. Sono tuttavia necessarie alcune condizioni: il lavoratore deve avere maturato almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro; l’anticipazione non deve superare il 70% del trattamento spettante nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta; l’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro. L’azienda è tenuta ad accogliere le domande di anticipazione del TFR nel limite annuo del 10% degli aventi diritto e comunque entro il 4% del numero totale dei dipendenti. Il numero dei lavoratori da prendere in considerazione per tale calcolo è quello esistente all’inizio dell’anno.

La richiesta deve essere giustificata da necessità come: eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari; acquisto della prima casa per sé o per i figli; eventuali spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi parentali.

Il diritto all’anticipazione è negato ai lavoratori dipendenti di aziende dichiarate in crisi.

In caso di fallimento dell’azienda, chi paga il TFR?

Esiste un apposito Fondo di garanzia presso l’INPS, che si occupa di erogare il trattamento di fine rapporto in caso di insolvenza del datore di lavoro. Il Fondo, che è alimentato dai lavoratori con un contributo dello 0,5% sulle retribuzioni, interviene in caso di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, pignoramento infruttuoso.

Come si calcolano i periodi di assenza dal lavoro?

Viene inserito nel TFR l’equivalente della retribuzione solo per alcuni generi di assenza, come quella per infortunio, malattia, gravidanza e puerperio. Sono invece escluse le assenze ingiustificate, quelle per sciopero, servizio militare, motivi sindacali.

Un riferimento all’attualità è d’obbligo. Anche l'assenza ingiustificata per mancata esibizione del Green pass al momento dell'accesso al luogo di lavoro comporta la riduzione del TFR. Il lavoratore, infatti, non percependo retribuzione nei giorni di assenza ingiustificata, non vede aumentare la retribuzione annua utile al calcolo della quota annuale del trattamento di fine rapporto (TFR).

Come stabilisce il Decreto Legge n. 127 del 21 settembre 2021, i lavoratori, “nel caso in cui comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o qualora risultino privi della predetta certificazione al momento dell'accesso al luogo di lavoro, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, sono considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della predetta certificazione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”.


Cosa avviene in caso di morte del lavoratore?

L’art. 2122 stabilisce che, in caso di morte del lavoratore, il TFR maturato alla data del decesso sia corrisposto sotto forma di indennità sostitutiva ai superstiti, ovvero al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, anche ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo.


Dopo quanto spetta il TFR al lavoratore?

Il versamento del TFR rappresenta un obbligo del datore di lavoro e un diritto del lavoratore, ma la legge non fissa i termini entro cui effettuarlo (in genere si tratta di 45 - 60 giorni, ma non c’è alcuna disposizione giuridica). Quindi non ci sono risposte inequivocabili riguardo alle tempistiche di pagamento.

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