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Pignoramenti e aste immobiliari: la sentenza Cass. civ., SS.UU., n. 9479/2023

Immagine del redattore: Alessandro FacchiniAlessandro Facchini

Come già ampiamente evidenziato (slides convegno 22.06.2023) e limitandoci alle pronunce di interesse per lo Stato italiano, la CGUE, nelle cause riunite C 693/19 (SPV Project 1503 Srl e a. c/ YB) e C 831/19 (Banco di Desio e della Brianza S.p.A. e aa. c/ YZ) ha affermato che “l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE … ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole”.



Conseguentemente, la Corte di Cassazione - con la sentenza SS.UU., 6 aprile 2023 n. 9479 - dopo aver vagliato differenti istituti già presenti nel nostro ordinamento, ha rinvenuto nell’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c. la misura per garantire una tutela effettiva del consumatore in presenza di clausole abusive all’interno del contratto stipulato con un professionista e in presenza di un decreto ingiuntivo non opposto.


Come noto, per giungere a tale soluzione, la Corte di Cassazione ha, di fatto, disapplicato il termine decadenziale di 10 giorni, decorrenti dal primo atto di esecuzione, per promuovere l’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, rinvenendo nell’art. 641 c.p.c. la giustificazione normativa per determinarlo in 40 giorni.


Pertanto, oltre al mai sopito dibattito in tema di rapporto tra diritto unionale e ordinamento interno e all’altrettanto controversa interpretazione della funzione nomofilattica della Suprema Corte, vi è un ulteriore elemento che ha acceso gli animi intorno alla sentenza in commento che, indubbiamente, segna un punto di svolta significativo e, come poche altre volte, ha catalizzato l’attenzione anche dei non addetti ai lavori.


Ci riferiamo alla innovativa (e, per autorevoli Voci esorbitante) interpretazione dell’istituto del giudicato, che avrebbe comportato il superamento del giudicato implicito.


Altri Autori, partendo dal pregevole contributo di Redenti, così come alcune pronunce della stessa Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 2370/2015; n. 9857/2002) ritengono non applicabile al decreto ingiuntivo la teoria del giudicato implicito e, comunque, una efficacia piena degli effetti di cui all’art. 2909 c.c.; sicché, in caso di mancata opposizione al decreto ingiuntivo opererebbe una semplice preclusione pro iudicato e non potrà mettersi più in discussione la sola esistenza del credito.


Fatta questa doverosa premessa, poiché il presente contributo si limita ad alcune sintetiche e, pertanto, non esaustive riflessioni in tema di esecuzioni immobiliari, vale la pena rammentare il principio espresso dalla sentenza in commento, con riferimento alla fase esecutiva:

“Il giudice dell’esecuzione:

a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito - di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;

b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;

c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo - informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;

d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;

(ulteriori evenienze)

e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);

f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva - se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore”.


A prescindere dalla (per molti aspetti, discutibile) rimodulazione dell’art. 650 c.p.c. da parte della Corte di Cassazione, avere delimitato i compiti e i poteri del GE come poc’anzi ricordato appare, comunque, coerente con l’orientamento prevalente di legittimità, secondo cui “nel caso di titolo esecutivo giudiziale, con l'opposizione a precetto - al pari di quella all'esecuzione già iniziata - non si può giammai addurre alcuna contestazione su fatti anteriori alla sua formazione o alla sua definitività, poiché quelle avrebbero dovuto dedursi esclusivamente con gli specifici mezzi di impugnazione del titolo previsti dall'ordinamento” (Cass. 26285/2019).


Il che, sempre secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, si traduce nel fatto che in sede di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. possono essere dedotti soltanto i fatti modificativi, impeditivi o estintivi del rapporto sostanziale successivi alla formazione del titolo, alla luce del noto principio che il giudicato copre il dedotto e il deducibile e tenuto conto che i vizi di nullità si convertono in motivi di gravame.


Nella prassi di diversi Tribunali, a ogni modo, si registrano provvedimenti con cui il Giudice dell’Esecuzione - evidentemente ritenendolo necessario al fine di provvedere alla “sommaria istruzione”, funzionale al controllo dell’esistenza di eventuali clausole abusive - ordina ai creditori di integrare la produzione agli atti con il contratto da cui origina il credito e indicare, per ciascuna voce di esso, la clausola contrattuale che ne costituisce il fondamento, nonché le ragioni per cui debba, eventualmente, essere esclusa la natura vessatoria di quelle che incidono sull’esistenza e quantificazione del credito stesso.


Secondo autorevoli Voci, condivisibilmente, anche nella fattispecie che ci occupa resta, tuttavia, fermo il principio secondo cui “qualora dopo l'intervento di un creditore munito di titolo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l'illegittimità dell'azione esecutiva intrapresa dal creditore procedente, il pignoramento, se originariamente valido, non è caducato, bensì resta quale primo atto dell'iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che anteriormente ne era partecipe accanto al creditore pignorante” (Cass., SS. UU., n. 61/2014).

In ogni caso, una volta trasferito l’immobile il rimedio resterà quello risarcitorio.

Addentrandoci ulteriormente nella disamina del principio espresso dalla Suprema Corte, suscita perplessità la dizione “forme proprie del processo esecutivo” e l’imposizione, in capo al GE, di un potere istruttorio, anche sommario, nella direzione poc’anzi indicata.


A maggior ragione se si tiene conto della fattispecie eletta dalla Corte di Cassazione per assicurare l’effettività della tutela consumeristica nel senso indicato dalla CGUE e che, nell’attesa delle determinazioni del Giudice dell’opposizione tardiva decreto ingiuntivo, ex art. 649 c.p.c., non si procederà alla vendita dell’immobile.


Peraltro, non si tratta di una vera e propria sospensione della procedura e, quindi, nell’eventualità in cui il titolo esecutivo in questione non dovesse essere sospeso non sarà necessario riassumere, nel senso proprio del termine, la procedura esecutiva.

Senza contare che, In caso di intervento titolato, la vendita o l’assegnazione potranno essere compiute su istanza del creditore intervenuto, senza dilazione alcuna.


Subito dopo la pubblicazione della sentenza in commento tra gli operatori del diritto ci si è interrogati sulla opportunità, d’ora innanzi, di agevolare i compiti del Giudice del monitorio, espressamente indicando gli elementi, anche probatori, che escludano, in capo al resistente, la sussistenza della qualifica di consumatore e/o di richiedere che venga espressamente verificata la sussistenza, o meno, di clausole abusive e che ne venga data contestuale motivazione nelle premesse del decreto ingiuntivo.


È legittimo, quindi, che il difensore del creditore e quello del debitore esecutato si interroghino sui doveri di collaborazione e correttezza tra le Parti e nei confronti del Giudice dell’Esecuzione, in relazione ai doveri imposti a quest’ultimo dalla Corte di Cassazione, anche per scongiurare (non ultimo), il configurarsi della fattispecie dell’abuso del diritto.


Appare necessario, a tal riguardo, l’apporto che la giurisprudenza di merito darà in termini di interpretazione e conseguente applicazione della sentenza n. 9479/2023 della cui portata nomofilattica e relativa cogenza, come già ampiamente evidenziato in altra sede, diversi Autori dubitano, non del tutto a torto.


Di recente, ad esempio, si segnala che il Tribunale Roma, con la sentenza 18.07.2023 n. 11444, rel. Martucci, ha ritenuto non applicabili i principi espressi dalla sentenza in questione, tra l’altro, laddove la fideiussione controversa sia stata prestata anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 52/1996, che ha introdotto la tutela consumeristica di cui agli artt. 1469-bis e ss. c.c. ed al codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005), che ha dato attuazione alla direttiva 93/13/CEE e non ha portata retroattiva.


Ancora, il Tribunale di Belluno, con l’ordinanza 13.06.2023, est. Gerbi, ha affermato che “in assenza di una specifica indicazione della Corte su quale sia l’atto della vendita da ritenersi limite ultimo per l’espletamento del controllo in argomento, tale momento non può che coincidere con l’ordinanza del giudice che dispone la vendita e sancisce l’apertura della fase liquidatoria, con chiusura della fase preliminare, ciò anche in ragione di un bilanciamento fra i valori di pari rilevanza eurounitaria, la tutela effettiva del consumatore, da un lato, e il giusto processo (prevedibile e di ragionevole durata) dall’altro” e che non può essere concesso un ulteriore termine al consumatore-fideiussore che abbia già presentato opposizione contro il decreto ingiuntivo, ritenendo che “non sia riconoscibile nel caso di specie alla debitrice la tutela consumeristica di derivazione giurisprudenziale, la cui finalità è quella di tutelare il consumatore che non abbia potuto beneficiare della tutela effettiva contro il decreto ingiuntivo non anche di rimettere in termini il consumatore che abbia speso tale tutela mal esercitandolo”.

Peraltro, il Tribunale di Monza, con la sentenza del 3.07.2023 n. 1500, est. Ambrosio, ha precisato - ad avviso di chi scrive, correttamente - che le clausole asseritamente conformi al modello ABI non possono essere qualificate come “abusive” nell’accezione indicata dalla direttiva 93/13 CEE, avendo rilievo la violazione della diversa - e speciale - disciplina anticoncorrenziale che trova fondamento nella Legge n. 287/1990, con conseguente preclusione derivante dal giudicato.


Non ultimo, il Tribunale di Palermo, con la sentenza 9.06.2023 n. 2780, est. Alajmo ha ritenuto non ricorrenti le condizioni per potere rilevare d’ufficio la possibile abusività di clausole in danno di una posizione di “soggetto consumatore”, laddove non specificatamente contestata dall’attore, con gli altri motivi oggetto dell’opposizione all’esecuzione, “anche al solo fine di far valere l’erronea e invalida quantificazione delle somme, e far valere così le conseguenze della propagazione degli effetti della abusività della clausola alla parziale invalidità dell’azione esecutiva”.


È, ovviamente, prematuro - aldilà della ricostruzione del percorso decisorio della Suprema Corte di Cassazione e della conseguente analisi teoretica dei principi espressi - desumere dalle prime pronunce di merito quale sarà l’effettivo impatto della sentenza n. 9479/2023. Di certo, però, si tratta di un intervento giurisprudenziale che impone una seria riflessione non soltanto tra gli operatori del diritto, ma anche tra i primi destinatari dei precetti ivi espressi, ossia i consumatori e i professionisti, specie del sistema bancario e creditizio.

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