L’istituto della composizione negoziata della crisi di impresa è stato introdotto dal D.L. n. 118/2021, poi convertito nella Legge n. 147/2021. Oggi la disciplina della procedura in esame è stata recepita nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza entrato in vigore a far data dal 15 luglio 2022.
L’innovativa procedura è riservata a quelle imprese che si trovano in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi, ma che hanno ragionevoli possibilità di perseguire il risanamento attraverso la continuità aziendale.
La CNI consiste in una trattativa privata e stragiudiziale (quantomeno fino ad un certo punto, come vedremo), condotta da un esperto di crisi d’impresa, tra l’imprenditore e i suoi creditori.
Nonostante la composizione negoziata non sia, sotto il profilo tecnico, una procedura concorsuale poiché durante le trattative l’imprenditore continua a gestire la propria impresa senza ingerenze da parte del Tribunale o dell’esperto, per salvaguardare il buon esito delle trattative e la possibilità di superare la crisi viene concessa all’imprenditore, contestualmente o dopo la presentazione della istanza di nomina dell’esperto attraverso la piattaforma informativa, l’opportunità di beneficiare di misure protettive del proprio patrimonio da eventuali iniziative dei creditori.
Questo meccanismo, denominato automatic stay, impedisce ai creditori di acquisire alcun diritto di prelazione, se non dietro accordo e consenso dell’imprenditore in crisi, di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’impresa.
Tuttavia, l’applicazione di misure protettive è sottoposta alla conferma da parte del giudice e, dunque, la trattativa tra imprenditore e i suoi creditori, rimasta fino a questo momento riservata, giunge nelle aule di giustizia.
Le misure protettive, se confermate, hanno lo scopo di consentire la prosecuzione delle trattative, quantomeno dal lato dell’imprenditore, con animo più sereno. Di fatto, esse impediscono ai creditori nei cui confronti siano state confermate – fino a quando le trattative non si siano concluse e, dunque, fino a quando la procedura non sia giunta, positivamente o meno, al termine – di poter ottenere una sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza, di poter unilateralmente rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, l’anticipo della scadenza o la modifica in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori.
Nel decidere se confermare o meno le misure protettive, il Tribunale dovrà tenere in considerazione, oltre ai documenti depositati dall’imprenditore per ottenere l’accesso alla composizione negoziata della crisi d’impresa, anche la valutazione relativa alle possibilità di risanamento dell’impresa che l’esperto negoziatore è chiamato ad effettuare subito dopo l’accettazione dell’incarico.
Il Giudice assegnatario della istanza per la conferma delle misure protettive, entro il termine di dieci giorni dal deposito della istanza, deve fissare l’udienza da tenersi preferibilmente mediante modalità telematica. Nel corso della udienza, il Giudice può confermare o meno le misure protettive e può decidere anche di limitare le misure a determinate iniziative assunte dai creditori o a determinati creditori o a determinate categorie di creditori.
Le misure protettive hanno una durata non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni, prorogabili ove ciò sia necessario ad assicurare il buon esito delle trattative: la durata complessiva non può essere, tuttavia, superiore nel complesso a duecentoquaranta giorni.
Di converso, per riequilibrare gli effetti delle misure protettive nell’interesse dei creditori, questi ultimi o l’esperto potranno chiedere in qualsiasi momento al Tribunale di revocare o abbreviare le misure che non “soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiano sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori” (art. 19, comma 6 CCI).
La giurisprudenza di merito è particolarmente favorevole all’istituto della composizione negoziata della crisi d’impresa ravvisando in essa un efficace strumento per la risoluzione della crisi contingente dovuta non solo agli strascichi delle conseguenze della nota pandemia ma, ancor di più, alla recentissima crisi internazionale che sta provocando l’aumento esponenziale dei prezzi dell’energia e delle materie prime essenziali.
In particolare, i Tribunali – laddove ne ravvisino l’opportunità – sono favorevoli alla concessione delle misure protettive e, ove necessario, alla loro proroga.
Si veda, ad esempio, il Tribunale di Padova (provvedimento del 12 ottobre 2022) che, concesse le misure protettive ad una società in situazione di tensione finanziaria, ha – valorizzando quanto riferito dall’esperto, che confermava l’avvio di trattative con i creditori principali (ed in particolare, con gli istituti di credito, con cui era stata ipotizzata una situazione di “stand still” in attesa di poter verificare il concreto ritorno alla normalità operativa della società dopo i forti condizionamenti legati alla pandemia COVID 19) – accordato la proroga delle misure già concesse per un periodo di ulteriori 120 giorni ritenendolo ragionevole per verificare l’effettivo ritorno ad un equilibrio gestionale pre-COVID 19 e procedere alla redazione definitiva di un piano sulla base del quale le negoziazioni con i creditori possano trovare una soluzione.
Anche il Tribunale di Milano, con provvedimento (del 21 luglio 2022) reso in sede di reclamo avverso la decisione di conferma delle misure protettive, evidenziava l’importanza della funzione propria delle misure protettive nella composizione negoziata della crisi d’impresa, vale a dire “la protezione del patrimonio dell’imprenditore in crisi da azioni dei creditori che possano pregiudicare il risanamento aziendale in pendenza della conduzione delle trattative con il ceto creditorio”.
Ciò posto, il Collegio riteneva di dover soppesare lo sviluppo della composizione negoziata e le “prospettive di successo delle trattative stesse nell’ottica della ragionevole perseguibilità del risanamento d’impresa” anzitutto affidandosi con vaglio critico alle valutazioni espresse dall’esperto, soggetto cui la legge istitutiva della composizione negoziata della crisi d’impresa ha affidato il compito di “agevolare le trattative”, senza sindacare nel merito le trattative condotte tra debitore e ceto creditorio.
Tuttavia, occorre che l’imprenditore coscientemente si avvicini al predetto istituto: il Tribunale di Catania (provvedimento del 5 agosto 2022) ha ritenuto, infatti, che “in assenza di un piano di risanamento già redatto, per accedere alla procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa, l’imprenditore deve effettuare una valutazione preliminare della complessità del risanamento attraverso il rapporto tra l’entità del debito e l’entità dei flussi finanziari liberi. Ciò vuol dire che, nel momento in cui l’imprenditore richiede di accedere alla procedura, l’impresa deve già aver individuato, sia le ragioni della propria crisi, sia il percorso di risanamento”: con ciò ritenendo che, al fine di concedere e confermare le misure cautelari (ossia, la sospensione dei pagamenti nei confronti di alcuni creditori) o le misure protettive (ossia, l’inibizione delle azioni esecutive), non è sufficiente la volontà espressa dall’imprenditore di instaurare delle trattative con i debitori ma è necessario che questo alleghi e dimostri l’esistenza di una finalità di tutela del patrimonio o dell’impresa in una prospettiva di effettivo avvio di un percorso di risanamento.
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