Il Decreto del MEF n. 209/2022 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.17/2023
In data 8.03.2018 la Commissione Europea ha pubblicato un Piano di Azione per la finanza sostenibile, il cui fine è quello di riallocare i flussi del capitale privato in un’ottica, per l’appunto, sostenibile e inclusiva, che comprenda la gestione dei rischi finanziari e sociali conseguenti al cambiamento climatico.
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Ne consegue che il predetto intervento può ricomprendersi tra gli sforzi volti a supportare il “Green Deal Europeo” che, come divulgato dalla stessa Commissione Europea, si pone molteplici, ambiziosi, traguardi: a) che entro il 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra; b) che la crescita economica venga dissociata dall'uso delle risorse; c) che nessuna persona e nessun luogo siano trascurati.
Secondo gli interpreti più attenti, nondimeno, ancora oggi vi sono sostanziali differenze tra la cosiddetta “finanza sostenibile”, perseguita dall’UE, e la “finanza etica” come intesa dagli intermediari finanziari e dalle stesse istituzioni finanziarie attive, da tempo ben risalente, in Europa.
Semplificando, ancora oggi può affermarsi che la finanza etica persegue, quale fine primario, quello di conseguire un risultato economico non più a esclusivo beneficio degli azionisti (shareholders interest), bensì previa valutazione degli impatti su tutti gli interessati a un determinato affare o progetto (stakeholders interest).
Pertanto, il denaro viene ritenuto non più un mero scopo, ma uno strumento per raggiungere finalità di ordine “valoriale”: ambientale, sociale e, così via via specificando.
L’UE, nondimeno, definisce il criterio della sostenibilità riferendosi, in prevalenza, alla componente ambientale.
Dal canto suo, la finanza etica valuta ciascun aspetto ambientale, ma anche sociale e di governance, con l’analisi ESG. Sicché, avvalendosi di parametri standardizzati e condivisi, non trascura le interrelazioni tra i suddetti ambiti e ogni impatto, anche di natura non economica, del proprio operato.
Per rimarcare la differenza poc’anzi evidenziata e rendersi conto del cambio di mentalità in atto, basta guardare anche alla nostra esperienza, che vede la diffusione delle cosiddette B Corp.
La certificazione B Corp viene conferita, previa rigorosa valutazione dei requisiti richiesti, alle aziende che misurano e valutano il proprio rendimento stimandone l’impatto ambientale e sociale con la stessa - fattiva e non soltanto proclamata - attenzione dedicata ai profitti economici; con ciò impegnandosi a creare valore non solo monetario.
Parimenti, l’Italia è stata una dei primi Paesi a consentire la costituzione di Società Benefit, che integrano nel proprio oggetto sociale, oltre alla finalità del profitto tradizionalmente inteso, anche scopi sociali e ambientali.
In questa cornice si innesta il Decreto 4 ottobre 2022 n. 209, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 gennaio 2023 n. 17, in vigore dal 5 febbraio 2023.
Detto Decreto contiene il Regolamento di attuazione dell’articolo 111 bis del D. Lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (cosiddetto TUB), come modificato dalla Legge 11 dicembre 2016 n. 232.
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 111 bis, comma 1, TUB, “Sono operatori bancari di finanza etica e sostenibile le banche che conformano la propria attività ai seguenti principi:
a) valutano i finanziamenti erogati a persone giuridiche secondo standard di rating etico internazionalmente riconosciuti, con particolare attenzione all'impatto sociale e ambientale;
b) danno evidenza pubblica, almeno annualmente, anche via web, dei finanziamenti erogati di cui alla lettera a), tenuto conto delle vigenti normative a tutela della riservatezza dei dati personali;
c) devolvono almeno il 20 per cento del proprio portafoglio di crediti a organizzazioni senza scopo di lucro o a imprese sociali con personalità giuridica, come definite dalla normativa vigente;
d) non distribuiscono profitti e li reinvestono nella propria attività;
e) adottano un sistema di governance e un modello organizzativo a forte orientamento democratico e partecipativo, caratterizzato da un azionariato diffuso;
f) adottano politiche retributive tese a contenere al massimo la differenza tra la remunerazione maggiore e quella media della banca, il cui rapporto comunque non può superare il valore di 5”.
Limitandosi all’interpretazione letterale, il primo comma della norma in commento sembrerebbe individuare, per specificazione, una nuova categoria di Banche, che possono fregiarsi dell’attributo “etica” soltanto ove siano in possesso dei requisiti richiesti dalla Legge.
Il secondo comma attribuisce, poi, una serie di vantaggi di natura fiscale - tributaria: “Non concorre a formare il reddito imponibile ai sensi dell'articolo 81 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, degli operatori bancari di finanza etica e sostenibile una quota pari al 75 per cento delle somme destinate a incremento del capitale proprio”.
Il comma terzo dell’art. 111 bis TUB ne condizionava l’applicabilità all’emanazione del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, soltanto di recente pubblicato, dopo una lunga e travagliata genesi.
Ai sensi del quarto comma, infine, si prescrive che “L'agevolazione di cui al presente articolo è riconosciuta nel rispetto dei limiti di cui al regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti "de minimis””.
Come lamentato a più voci dagli operatori del settore - le cui indicazioni in sede di consultazione non sono state tutte recepite - il testo del Regolamento attuativo incorporato nel Decreto n. 209/2022, nella sua formulazione rigida, rende problematica l’applicazione dell’art. 111 bis TUB.
In estrema sintesi e senza tema di esaustività, ma focalizzandosi su alcuni rilevanti aspetti, il Regolamento in esame attribuisce la qualifica di operatori di finanza etica e sostenibile, tra le altre, alle Banche che:
prevedono che la valutazione del merito creditizio sia eseguita attraverso l’utilizzo di parametri derivanti da obiettivi di sviluppo sostenibile definiti da organismi internazionali, escludendo a priori alcune aree di finanziamento dagli standard di cui sopra.
A parere di chi scrive, è quanto mai attuale l’affermata esclusione dei finanziamenti a favore di persone giuridiche
1) che operano, anche indirettamente, nella produzione o scambio di beni o servizi il cui normale utilizzo viola i diritti umani;
2) che, nell'ambito della propria attività, consumano energia esclusivamente da fonti non rinnovabili;
3) di cui è stata accertata in via definitiva la responsabilità per gravi e sistematiche violazioni di diritti umani, per gravi violazioni dei diritti individuali in situazioni di guerra o di conflitto, o per gravi danni ambientali”;
4) “erogano almeno il 20 per cento dei finanziamenti, come risultanti dall'ultimo bilancio approvato, a favore dei soggetti iscritti nel Registro unico nazionale del terzo settore, di cui all'articolo 45 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, e a favore delle imprese sociali di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112 (…)”.
All’art. 4 del Decreto n. 209/2022 si afferma, poi, che “Una quota pari al 75 per cento dell'utile dell'esercizio degli operatori bancari di finanza etica e sostenibile non concorre a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito se destinato a riserva legale o ad apposita riserva non distribuibile in sede di approvazione del bilancio dell'esercizio in cui detti utili sono stati conseguiti, nel rispetto del limite massimo di spesa annuale stabilito dall'articolo 111-bis, comma 3, del TUB”.
Si segnalano molte voci contrarie alla imposta predeterminazione della composizione del portafoglio crediti, che potrebbero contrastare col doveroso rispetto dei criteri di bilanciamento del rischio previsti, tra le altre, dalle Linee Guida in materia di concessione e monitoraggio del credito predisposte dall'Autorità Bancaria Europea.
Una delle più contrastate previsioni è, poi, il divieto assoluto di distribuzione del profitto, ulteriormente specificato nel Decreto in commento che, si segnala non a torto, si pone in contrasto con la disciplina delle Società Benefit, che possono perseguire e conseguire finalità di lucro e di beneficio ambientale e sociale.
Altre perplessità sollevano, tra gli operatori del settore, il riferimento a non meglio specificati “parametri definiti da organismi internazionali” e, pure, gli stringenti limiti di carattere organizzativo fissati dal Regolamento di attuazione.
Concludendo, si segnala che diversi interpreti si discostano dalla lettura letterale dell’art. 111 bis TUB, analizzandone l’articolo 2 congiuntamente al Decreto n. 209/2022, entrato in vigore, come si diceva ed è bene ricordare, soltanto il 5 febbraio 2023.
Tale tesi non supera, né altrimenti mitiga, le aporie complessivamente rinvenute, ma circoscriverebbe al solo perseguimento dei benefici fiscali e tributari la qualifica di “Banca etica”.
Aldilà delle aporie riscontrate dai primi commentatori al Decreto di attuazione e, quindi, al tentativo di una prima regolamentazione “interna” della finanza etica e sostenibile applicata al mondo bancario; senza, poi, sminuire i conseguenti, non infondati, timori di un conflitto tra diverse disposizioni - che si rinvengono anche all’interno dello stesso D. Lgs. n. 385/1993 - e in attesa dei prevedibili interventi del Legislatore, appare a chi scrive che dotare il sistema bancario e finanziario degli strumenti indispensabili per affrontare e risolvere - non soltanto dal punto di vista del profitto economico, ma anche di quelli sociale e ambientale - le sempre più stringenti sfide in cui incorre, sia, oggi, l’unica soluzione seriamente percorribile per garantire il benessere collettivo e un futuro alle generazioni che verranno.
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