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L’implementazione della normativa sul recupero degli immobili dismessi a Milano

Immagine del redattore: Alessandro FacchiniAlessandro Facchini

Tra le esigenze di riduzione del consumo del suolo e quelle derivanti dall’ormai superato assetto urbanistico di molte città, i modelli e le procedure di valorizzazione degli edifici dismessi hanno assunto negli ultimi anni importanza sempre più cruciale nelle operazioni immobiliari.

In Lombardia, la l.r. 18/2019 ha introdotto consistenti agevolazioni per quanto attiene agli edifici dismessi che presentano criticità, esponendosi, però, a critiche anzitutto in relazione al meccanismo sostanzialmente espropriativo (obbligo di recupero o di demolizione, oltre alla perdita dei benefici) come previsto nel caso di mancato avvio del recupero da parte dei proprietari.


Altre problematiche sono state poi sollevate, nella prima versione legislativa, relativamente all’eccessiva compressione dell’autonomia pianificatoria comunale; di qui la recente pronunzia di parziale annullamento della Corte Costituzionale n. 202/2021, e le quasi coeve modifiche apportate dalla l.r. 11/2021.

Analizziamo lo stato dell’arte di questa materia, in particolare per quanto attiene al territorio del Comune di Milano. Prima di cominciare, però, è opportuna una breve premessa.

L’art. 40 bis della legge regionale sul governo del territorio (12/2005), nella sua primigenia formulazione, aveva declinato i benefici relativi al recupero degli immobili dismessi con criticità in guisa rigidamente predeterminata, ossia:

  • incremento del 20% dei diritti edificatori;

  • esenzione dall’eventuale obbligo di reperimento di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale (cd. standard);

  • per gli immobili che venivano individuati come dismessi con criticità, applicazione del regime di penalizzazione nel caso di mancato avvio del recupero entro un termine generale e fisso (tre anni dalla individuazione).

A fronte di quanto sopra, ai Comuni era lasciato ben poco spazio, se non nel senso di indicare quali fossero gli immobili affetti da criticità; spazio, peraltro, ulteriormente limitato da una definizione di “criticità” assai ampia e generica.

Anticipando la pronuncia della Corte Costituzionale 202 / 2021 (per il cui commento si rinvia a https://www.us-legal.it/post/rigenerazione-urbana-la-corte-costituzionale-annulla-l-art-40-bis), la legge regionale 11/2021 ha modificato il regime, stabilendo:

  • che l’incremento dei diritti edificatori può essere discrezionalmente stabilito dai singoli comuni in misura oscillante tra il 10 ed il 25 percento;

  • che i comuni possano chiedere la dotazione di aree a standard in caso di dimostrato incremento del fabbisogno, e per la sola quota che si correla all’incremento edificatorio;

  • che i comuni possono escludere ambiti del territorio a cui non si applicano benefici in presenza di motivate ragioni di tutela paesaggistica, e così pure graduare il regime temporale nel caso di mancata presentazione del progetto.

Il Comune di Milano ha quindi provveduto ad approvare la delibera di Consiglio Comunale n. 108 del 20 dicembre 2021, pubblicata all’albo pretorio dal 3 al 18 gennaio 2021, il cui contenuto indubbiamente limita di molto l’applicazione degli incentivi.

All’interno della delibera possiamo distinguere diverse casistiche.

Da un lato vi sono gli immobili per cui il Comune ha positivamente effettuato l’individuazione, ammettendoli dunque sia ai benefici che alle negative conseguenze in caso di mancata realizzazione del progetto di recupero (sino alla demolizione d’ufficio, a spese della proprietà).

Ferma per quest’ultima componente la ricorrenza di possibili dubbi di costituzionalità, e la conseguente possibilità di contestazione, la scelta comunale è ricaduta sul riconoscimento di un indice premiale minimo del 10%, con la motivazione che ciò è per non incidere “in modo assai significativo” sull’aumento dell’edificato.

A fronte di un generale obbligo di motivazione per tutti gli atti amministrativi, e della stringatezza delle ragioni addotte dal Comune, gli interessati potranno valutare la possibilità di proporre ricorso.

Lo stesso può dirsi con riferimento alla scelta di indicare un termine di 24 mesi per la presentazione dei progetti, accompagnata dalla sola considerazione che tale termine è necessario per “ridurre i tempi del recupero effettivo”.


Dall’altro lato vi sono gli immobili per cui il Comune ha espressamente negato l’individuazione, così estromettendoli dai benefici. Anche in tal caso, a maggior ragione, è possibile una analisi per verificare se le motivazioni siano congrue rispetto ai parametri normativi.

Parallelamente, vi sono gli immobili che ricadono in ambiti in cui il Comune ha escluso tout court l’applicazione dei benefici.

In questo caso, vi è spazio per una analisi di possibile contestazione muovendo dalla considerazione che la normativa regionale sembra precludere esclusioni generalizzate, ammettendole solo in presenza di ragioni ambientali.

Per molte delle tipologie di esclusione come indicate nel deliberato comunale, dal momento che l’esclusione è stata espressa per blocchi di aree e con motivazioni generali - in taluni casi a tutela della memoria storica, o per non compromettere il disegno urbano - può essere verificato se l’eventuale incremento avrebbe compromesso necessariamente gli obbiettivi di tutela.

Infine va ricordato che, per gli immobili non oggetto di valutazione negativa, è sempre possibile ai proprietari chiederne l’inserimento tra quelli dismessi con criticità, allegando una perizia asseverata che attesti il non uso e la ricorrenza di una delle ragioni di criticità.


A riguardo, il Comune ha previsto un termine semestrale di aggiornamento.

In questo caso, la domanda dovrà necessariamente tenere conto dei principi indicati nella deliberazione comunale, sotto pena di verosimile diniego (anche esso, peraltro, astrattamente sindacabile innanzi il giudice amministrativo).

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