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Interest Rate Swap: mark to market e scenari probabilistici come elementi essenziali del contratto?

Immagine del redattore: Alessandro FacchiniAlessandro Facchini

Gli orientamenti della giurisprudenza di merito dopo la sentenza n. 8770/2020 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione


Con la sentenza n. 8770/2020, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse sui contratti di Interest Rate Swap (IRS) conclusi da un ente locale, stabilendo alcuni principi di diritto in tema di validità dei contratti derivati che potrebbero influenzare sia i contenziosi in essere sia quelli futuri, non solo per gli enti locali ma anche per privati e imprese.


Ed infatti, anziché limitarsi a rispondere ai quesiti posti dalla Prima Sezione Civile, che – in effetti –riguardavano specificamente la materia dei contratti derivati conclusi, nello specifico, con Enti locali (ovvero: “a) se lo swap, in particolare quello che preveda un upfront – e non sia disciplinato ratione temporis dalla l. 133 del 2008, di conversione del dl 112 del 2008 −, costituisca per l’ente locale un’operazione che generi un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, a norma dell’art 30, comma 15, l. 289 del 2002; b) se la stipula del relativo contratto rientri nella competenza riservata al Consiglio Comunale, implicando una delibera di spesa che impegni i bilanci per gli esercizi successivi, giusta l’art. 42, comma 2, lett. i), Tuel”),hanno viceversa esaminato alcuni aspetti relativi ai contratti derivati in generale: per tale ragione, la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione viene spesso richiamata anche in controversie che coinvolgono privati e imprese.

Quel che è certo è che il riesame generale effettuato dalle Sezioni Unite non è stato recepito dalla giurisprudenza di merito in modo omogeneo e uniforme, tanto è vero che se alcuni tribunali ne fanno pedissequa applicazione, altri lo criticano aspramente e se ne discostano.


In questa sede viene esaminato, senza la pretesa di esaurire l’argomento, uno dei temi maggiormente dibattuti dalla giurisprudenza di merito: la qualificazione del mark to market e degli scenari probabilistici.


Dopo aver evidenziato che gli elementi essenziali del contratto derivato “sono stati individuati, dalla stessa giurisprudenza di merito, ne: a) la data di stipulazione del contratto (trade date); b) il capitale di riferimento, detto nozionale (notional principal amount), che non viene scambiato tra le parti, e serve unicamente per il calcolo degli interessi; c) la data di inizio (effective date), dalla quale cominciano a maturare gli interessi (normalmente due giorni lavorativi dopo la trade date); d) la data di scadenza (maturity date o termination date) del contratto; e) le date di pagamento (payment dates), cioè quelle in cui sono scambiati i flussi di interessi; f) i diversi tassi di interesse (interest rate) da applicare al detto capitale”, la Cassazione, a Sezioni Unite, torna ad interrogarsi su che cosa debba intendersi per “causa” e per “oggetto” del contratto derivato e se quest’ultimo persegua o meno interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. In particolare le Sezioni Unite si interrogano sul fatto se sia “... necessario verificare se si sia in presenza di un accordo tra intermediario e investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi, perché il legislatore autorizza questo genere di scommesse razionali sul presupposto dell’utilità sociale delle scommesse razionali, intese come specie evoluta delle antiche scommesse di pura abilità. E tale accordo non deve limitarsi al mark to market, ma investire, altresì, gli scenari probabilistici, poiché il primo è semplicemente un numero che comunica poco in ordine alla consistenza dell'alea. Esso dovrebbe concernere la misura qualitativa e quantitativa dell'alea e, dunque, la stessa misura dei costi pur se impliciti”.


Le Sezioni Unite, dunque, ritengono che il mark to market e gli scenari probabilistici dovrebbero essere valutati al fine di verificare se l'alea del contratto sia qualitativamente e quantitativamente equilibrata e se su di essa vi sia l'accordo delle parti.

Sul punto, la giurisprudenza si è fortemente divisa: ed infatti a fronte di tribunali che continuano a sostenere che il mark to market debba essere considerato quale causa od oggetto del contratto derivato, altri ritengono, viceversa, che il mark to market altro non sia che il valore di mercato (peraltro, virtuale) del contratto derivato in un determinato momento e che, dunque, non possa essere considerato elemento essenziale ai sensi dell’art. 1325 c.c.


È evidente la profonda differenza delle conseguenze dei due orientamenti: nel primo caso la mancata indicazione del mark to market provocherebbe la nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale ex art. 1418, comma 2 c.c., mentre nel secondo caso la mancata indicazione del mark to market potrebbe essere considerata una mera inosservanza a obblighi informativi che non potrebbe condurre alla dichiarazione di invalidità del contratto, a meno che ciò non sia espressamente previsto dalla legge.


Il Tribunale di Milano, sul punto, è fortemente diviso anche al suo interno: ed infatti se da un lato, con la recente sentenza del 22 marzo 2021, ha evidenziato che “Il Mark to Market (MtM) esprime, in un determinato momento, il valore del contratto in base alla previsione degli andamenti futuri dei flussi finanziari e corrisponde al prezzo di mercato teorico che un terzo sarebbe disposto a sostenere per subentrare nel contratto. Viene in rilievo specie in caso di risoluzione anticipata dello swap, quale costo preteso dalla banca per l’estinzione. Di conseguenza non può essere qualificato come essenziale, ai sensi degli artt. 1325 e 1418 c.c., un elemento che rileva solo eventualmente” (su www.ilcaso.it), dall'altro – pochi mesi dopo – ha deciso in senso contrario stabilendo che “Il Mark to Market, quale sommatoria attualizzata di differenziali futuri attesi, rappresenta, sia pure nella dimensione temporalmente contestualizzata, un differenziale tra contrapposti flussi finanziari, ossia l’oggetto stesso del contratto; il Mark to Market non assume, infatti, rilievo in una prospettiva patologica del derivato, ossia al fine di porre termine anzitempo a un rapporto non più rispondente alle esigenze di copertura o comunque agli interessi delle parti o, quanto meno, di una di esse, ma al contrario attiene alla dimensione fisiologica di tale contratto; pertanto, l’oggetto del contratto, costituito dal differenziale dei contrapposti flussi finanziari, viene determinato attraverso il Mark to Market, il quale, rappresentando una sua specifica modalità di espressione, è esso stesso l’oggetto del contratto” (sentenza del 14 luglio 2021, sempre su www.ilcaso.it).


Il Tribunale di Bologna ha stabilito che “Va disattesa la prospettazione secondo cui il contratto IRS sarebbe privo della causa tipica dei derivati perché in esso mancherebbe la specificazione del Mark to market iniziale, del modello matematico di pricing e degli scenari probabilistici, senza i quali verrebbe meno la consapevole e razionale creazione di alee reciproche che è alla base della causa del derivato.

La causa del derivato IRS consiste nello scambio del differenziale dei valori del sottostante parametrato a tassi di interesse: le parti si impegnano a date prestabilite a versare o a riscuotere il differenziale di importi determinati in base a tassi di interesse diversi applicati a un capitale di riferimento detto “nozionale”, che non è oggetto di scambio ma funge da parametro su cui commisurare gli interessi che vengono incassati o pagati dai contraenti; l’oggetto del contratto IRS con funzione di copertura è il differenziale” (sentenza del 5/01/2021 su www.ilcaso.it).


Il Tribunale di Roma, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Bologna appena citato, ha statuito che “L’indeterminatezza del contratto per mancata indicazione (i) del fair value dell’operazione alla data della stipula; (ii) dei rischi sottesi alla stipula del contratto, stante la mancanza di informazioni sui differenziali attesi in relazione al verificarsi dei tassi forward; (iii) delle potenziali perdite a cui si è esposta la Società nell’ipotesi di scenario peggiore si riflette sulla determinabilità dell'oggetto del contratto con conseguente nullità dello stesso” (sentenza dell’8 febbraio 2021, su www.ilcaso.it).

Meno recentemente anche la Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 2003 del 28 luglio 2020, ha evidenziato che “Non sussiste nullità del contratto di IRS per effetto della mancata esplicitazione del valore iniziale del c.d. mark to market ovvero per la circostanza che tale valore fosse negativo per il cliente. Il cd. mark to market non è l’oggetto del contratto di Interest Rate Swap, posto che, palesemente, oggetto del contratto sono le reciproche obbligazioni delle due parti di pagare l’una all’altra, a seconda dei casi, a scadenze prestabilite, il differenziale sussistente tra due somme, calcolate su un medesimo capitale di riferimento, con applicazione di due determinati parametri differenti per le due parti; ma è il valore che, in ciascun momento della sua esistenza, assume il contratto di IRS, inteso quale costo che un terzo estraneo al contratto è disposto a pagare o chiede di ricevere, a seconda dei casi, per subentrare nel contratto, ovvero quale costo che una delle due parti è tenuta a pagare all’altra o pretende di ricevere da questa per chiudere anticipatamente il contratto…” (su www.ilcaso.it).


Viceversa, la Corte d'Appello di Torino ha ritenuto che “La Corte di Cassazione afferma che i contratti derivati atipici sono validi, leciti e meritevoli di tutela solo in presenza, fin dalla loro stipula, di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market che degli scenari probabilistici e dei cd. costi occulti (cfr. Cassazione civile sez. un., 12/05/2020, n.8770). Oltre all’esistenza della causa astratta, deve essere valutato se il contratto, stipulato con funzione di copertura, contenga parametri idonei anche in concreto a perseguire tale risultato, seppure con l’alea propria dello strumento derivato” (sentenza del 10 giugno 2021, su www.ilcaso.it).


Il dibattito è evidentemente ancora vivace.

Ciò su cui non dovrebbe esservi più alcun dubbio è che, in ogni caso, il principio sopra evidenziato dalla Corte di Cassazione relativamente al fatto di considerare il mark to market e gli scenari probabilistici elementi essenziali del contratto la cui mancanza, dunque, dovrebbe avere quale conseguenza la nullità del contratto, non può certamente agire retroattivamente a contratti che siano stati conclusi quando tale onere non era previsto dalla legge, come viceversa parrebbero sostenere le Sezioni Unite.


E infatti, ricordiamo che di tali elementi si è parlato solo con l'introduzione della Mifid e, successivamente, con la Comunicazione Consob n. DIN/9019104 del 02/03/2009. Certamente non è possibile sostenere che tali norme siano applicabili retroattivamente poiché, come già chiarito da tempo dalla giurisprudenza comunitaria, l’applicazione retroattiva di regole europee introdotte dopo la stipulazione dei contratti derivati di cui è causa, è comunque contraria al principio di certezza del diritto riconosciuto dal diritto europeo.


A tal riguardo, il Tribunale dell’Unione Europea ha avuto modo di evidenziare che “per costante giurisprudenza, sebbene le norme di procedura siano generalmente considerate applicabili anche alle situazioni giuridiche sorte anteriormente alla loro entrata in vigore…, lo stesso non può dirsi per le norme sostanziali. Per una giurisprudenza altrettanto costante, infatti, le norme comunitarie di diritto sostanziale devono essere interpretate, per garantire l’osservanza dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, nel senso che non riguardano situazioni consolidatesi anteriormente alla loro entrata in vigore, salvo che emerga chiaramente dalla loro formulazione, dalle loro finalità o dal loro impianto sistematico che si deve ad esse attribuire tale effetto. In questa ottica, la Corte ha sottolineato che, benché, in linea di massima, il principio della certezza del diritto osti a che l’efficacia nel tempo di un atto comunitario decorra da una data anteriore alla sua pubblicazione, una deroga è possibile, in via eccezionale, qualora lo scopo da raggiungere lo esiga e purché il legittimo affidamento degli interessati sia debitamente rispettato (sentenze della Corte 25 gennaio 1979, causa 98/78, Racke, Racc. pag. 69, punto 20, e Salumi e a., punto 94 sopra, punto 10) (TPIUE, V sez., 3 maggio 2007, causa T-357/02, Freistaat Sachsen).


Pare legittimo affermare, dunque, che far discendere la nullità di un contratto dall’assenza di un requisito la cui presenza, al momento della sottoscrizione dello stesso, non era indicata come obbligatoria da alcuna norma di legge (né nazionale, né comunitaria, né di primo né di secondo livello) è da ritenersi in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico.


In conclusione, la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite non ha affatto avuto l’effetto sperato di dissipare i dubbi ed i contrasti nell’ostica materia dei contratti finanziari derivati ma, viceversa, ne ha alimentato altri sui quali la giurisprudenza di merito sarà costretta a confrontarsi ancora per molto tempo.

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